Ciao Marco
PANNELLA, IL SALUTO DEL PRESIDENTE NICCOLO’ RINALDI
Mi ricordo di quando Marco Pannella, a casa per cena, regalò a mia moglie questa pianta, che pare poca cosa ma era fiorita fino a due settimane fa e che gli è sopravvissuta.
Mi ricordo il terrore degli interpreti del quando dovevano tradurre i discorsi di Marco, dalle frasi interminabili e con una subordinata che si apriva dietro l’altra senza fine – ma davvero senza fine.
Mi ricordo di quella porta nella sede radicale di via di Torre Argentina che era sempre aperta e di come ogni volta mi accoglieva festoso.
Mi ricordo di come a casa sua, mentre digiunava, offriva il gelato e teneva un minestrone per gli ospiti pronto sul fuoco.
Mi ricordo quando gli portai a casa Vincenzo Maruccio, all’epoca coordinatore regionale del Lazio dell’IdV e di come fu cortese con lui, che non conosceva e che poco dopo finì a lungo in carcere.
Mi ricordo della sua casa, piccola e mansardata, che aveva preso anni prima da Marcello Baraghini, il geniale ideatore di Stampa alternativa, e di quanto era fiero della terrazzina sui tetti di Roma e delle piante che vi teneva.
Mi ricordo di quando mi accolse la prima volta alla sede radicale, sotto quella gigantografia fotomontaggio di una fila di monaci buddisti tibetani, scalzi e con la sola tunica e un bastone, e del papa colmo di gioielli e dagli abiti sontuosi, sotto una citazione del vangelo di Matteo con le parole che Gesù rivolse agli apostoli: Andrete muniti solo di una tunica e di una bisaccia, e senza gioielli né denaro.
Mi ricordo di quando a una riunione dei capi di partito dell’ALDE non fi gli fu data la parola perché i radicali non erano in regola con le quote, e di come se ne andò via.
Mi ricordo di quando all’ultimo congresso del PRI, l’anno scorso, ci prendemmo un caffè insieme a Tivelli, ragionando di altre iniziative ancora da fare.
Mi ricordo di quando gli proposi di fare un referendum per l’abolizione del monopolio della SIAE.
Mi ricordo quando nel 2009 sostenne la mia candidatura nella lista di Di Pietro, anche se se era presente una lista radicale, e che nel 2014 di fatto rifiutò ogni sostegno alla lista, liberale, dell’ALDE e alla mia candidatura.
Mi ricordo di quando mi disse che Giorgio La Malfa non era tipo da leggere le poesie, e io invece gli controbattei che Giorgio me ne aveva addirittura detta di Auden a memoria, anni fa a Bruxelles.
Mi ricordo che gli chiesi perché non aveva mai pubblicato nessun libro, non mi ricordo cosa mi rispose, ma ricordo che pensai che anche Socrate e Gesù…
Mi ricordo che leggendo la raccolta delle corrispondenze di Janet Flaner, che raccontò l’Europa ai lettori del New Yorker dal 1925 al 1975, trovai negli articoli di quella geniale giornalista due nomi di persone che conoscevo, e uno era il giovane Marco Pannella che all’inizio degli anni settanta stava cambiando l’Italia.
Mi ricordo di Marco quando il parlamento europeo introdusse il divieto tassativo di fumare ovunque nei suoi locali…
Mi ricordo del film con la sua biografia, dove c’erano tutte le sue battaglie – nudo a teatro, imbavagliato in televisione, affabulatore nei comizi, contestato da genitori con figli drogati…
Mi ricordo che pensai che quasi tutti i giovani dirigenti radicali di cui si circondava un po’ si assomigliavano tra loro, tutti bellini, tutti vestiti bene.
Mi ricordo l’ultima iniziativa fatta insieme, nella primavera del 2014 al parlamento europeo, e che citai a memoria un passo dell’Orazione per la dignità dell’uomo di Pico della Mirandola e che mi abbracciò.
Mi ricordo che un amico, costituzionalista svizzero ed estensore della prima costituzione democratica del Madagascar, mi disse che più o meno l’unico politico italiano che si salvava e noto a chiunque nel mondo si occupasse di democrazia diretta e referendum era Marco Pannella.
Mi ricordo che i miei figli lo chiamavano “nonno Marco”.
Mi ricordo di quando a Bruxelles difendeva la scelta radicale di aver fatto un gruppo unico, anche se tecnico, col Front National di Le Pen.
Mi ricordo di quando nel 1989 fu eletto al parlamento europeo in una lista comune a repubblicani e liberali, di quando alla prima riunione del gruppo propose che Giscard d’Estaing si candidasse alla presidenza del parlamento europeo, e di come tutti rimasero di stucco quando due giorni dopo se ne andò dall’ALDE per passare ai non-iscritti.
Mi ricordo di quando anni dopo, perso il gruppo tecnico con Le Pen, i radicali fecero domanda di adesione al gruppo dell’ALDE, ma la Margherita mise il veto, e per aggirarlo Di Pietro offrì di iscrivere gli euro-deputati radicali all’IdV, che la cosa non funzionò ma che Marco ne rimase molto colpito – del veto degli uni e dell’offerta dell’altro.
Mi ricordo di aver pensato più volte che, mutatis mutandis, il vero erede di Marco Pannella sia Marco Cappato.
Mi ricordo che fu Marco a consigliarmi la Cremeria Monteforte, di fianco al Pantheon, diffidandomi di andare altrove, e di come gli piaceva il gelato.
Mi ricordo che trovavo complicata la sua relazione con gli uomini del potere – presidenti della Commissione UE, Presidenti della Repubblica o del Consiglio, che un po’ adulava, un po’ si piccava di conoscere personalmente tutti, un po’esercitavano sempre un fascino su di lui, e che parecchio disprezzava.
Mi ricordo che i repubblicani li detestava, li temeva, li invidiava, li compativa, li rispettava, insomma che con l’edera – o con La Malfa, o con Visentini – aveva un rapporto complesso e mai definito.
Mi ricordo che quando interveniva al gruppo o in plenaria a Strasburgo, era l’unico – l’unico – che mettesse gli avvenimenti contingenti in relazione con la storia e i personaggi di ieri, che avesse una chiara percezione che nessuna politica c’è senza la conoscenza della storia, e che in quanto a dare la direzione di marcia all’Europa, era sempre una spanna in avanti rispetto a tutti gli altri.
Mi ricordo che nelle volte che l’ho visto non fu mai scortese, mai volgare, mai prevedibile.
Mi ricordo che il suo cervello, che bisognerebbe “analizzare”, era una baca dati inesauribile, che conosceva molti e molto, che ricordava tutto e che come una centralina elettronica metteva tutto in comune connessione.
Mi ricordo che nel suo pensiero c’era molta America, molta India, molta Africa, molta Inghilterra, molta Francia, molto Israele, molta Italia – molto mondo.
Mi ricordo che era difficile contraddirlo e che quando era messo alle strette se ne usciva con una delle sue risate sornioni.
Mi ricorderò che è morte in una clinica di suore.
Mi ricordo che le sue origini abruzzesi gli piacevano, eccome.
Mi ricordo che civettava in vari modi, tra l’altro sfoggiando il suo francese, ma che a un certo punto capì che senza l’inglese diventava un uomo di un’altra epoca.
Mi ricordo che non aveva affatto il terrore delle maggioranze, ma che le minoranze le considerava il solo spazio di creatività e libertà possibili.
Mi ricordo della sua faccia, dei suoi capelli ultimamente legati a coda, ma soprattutto, più di ogni suo tratto personale, della sua voce, forte, naturalmente autorevole e calda, non a caso radiofonica, incantatrice.
Mi ricordo molte altre cose, di Marco Pannella, anche meno frivole di queste e belle – e credo proprio che me le ricorderò sempre.