25 Novembre 2024
LA RIVISTA: GLI ARTICOLI

Nato: le Sfide Contemporanee della Sicurezza Mondiale

Si è concluso a Varsavia il vertice dei capi di stato e di governo della Nato (8-9 luglio) in un teatro di permanente instabilità, complicato da conflitti ai confini dell’Europa e dagli attacchi dal terrorismo transnazionale.  Proprio a Varsavia nel 1955 venne firmato il “Trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza”, che sanciva l’alleanza politico-militare fra l’Urss e le democrazie popolari dell’est europeo, in un clima di contrapposizione crescente fra il blocco occidentale e quello sovietico. Il Patto di Varsavia, come più noto, venne in seguito dissolvendosi con la frammentazione dell’Urss e l’Alleanza Atlantica intraprese un graduale processo di estensione a est tuttora in atto.

Fra i temi sul tavolo del confronto politico, quasi in un gioco di richiami simbolici, la questione della relazione della Nato con la Russia post-sovietica ha guidato gran parte della discussione, in quanto da tale relazione dipendono in maggiore o minore misura decisioni strategiche come il dispiegamento di assetti in Europa centro-orientale, il riposizionamento sul fronte meridionale e la revisione dell’arsenale nucleare.  In effetti, dei 139 articoli della dichiarazione finale, 24 sono dedicati alla Russia, ma di questi solo 7 si riferiscono a elementi di collaborazione e dialogo.  La reazione di personalità del calibro di Mikhail Gorbačëv, primo e ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace nel 1990, non ha tardato a farsi sentire, e parimenti il tono degli osservatori in Russia è di forte preoccupazione.  La Tass ha titolato “Il summit Nato sulla Russia: parole di pace e documenti bellicistici”.

Tuttavia circolano voci secondo le quali la ripresa delle negoziazioni dovrebbe avere luogo a vertice concluso, a continuazione del Consiglio Nato-Russia del 20 aprile, e dei vari incontri fra Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry, voci sostentate dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, il quale ha affermato di contare su un lungo e serio dialogo.  Il nuovo Consiglio Russia-Nato è fissato per oggi a Bruxelles, a livello di ambasciatori, con le misure approvate al Vertice di Varsavia, e la situazione in Afghanistan e in Ucraina, nell’agenda ufficiale.

Le alterne vicende con la comunità euro-atlantica erano migliorate nel 2009 in occasione del riavvicinamento pragmatico fra Washington e Mosca che aveva permesso l’accordo sulla riduzione degli armamenti nucleari, il transito dei mezzi di rifornimento Usa e dei paesi Nato verso l’Afghanistan, e il supporto del Cremlino alle sanzioni americane nei confronti dell’Iran.  La reazione della Russia al caos politico ucraino del 2014, per la mancata firma dell’accordo di associazione con l’Unione Europea da parte di Yanukovych, ha poi riaperto una fase di contrasto.  Gli Stati Uniti e l’Unione Europea, benchè su posizioni non sempre allineate, hanno risposto con sanzioni che, sebbene deprimendo l’economia, non sono risultate efficaci al fine di arginare l’assertività russa.

Le sfide contemporanee della sicurezza, e l’interesse strategico globale dell’Alleanza Atlantica, impongono la ritessitura del partenariato con la Russia.  Questa si è dimostrata un alleato fondamentale nella guerra siriana e la sua rilevanza è accresciuta con la sopraggiunta distensione fra Mosca e Ankara.  Eppure la dichiarazione di Varsavia recita “Le ultime azioni e la politica della Russia hanno abbassato il livello di stabilità, innalzando l’imprevedibilità e mutando la situazione nella sfera della sicurezza”.  Nella dichiarazione, la Nato non solo accusa la Russia di minare l’ordine europeo, ma la affianca alla minaccia terroristica in Medio Oriente e Nord Africa.

A detta degli esperti, l’intervento sovietico a sostegno di Bashar al-Assad ha di fatto reso il Mediterraneo orientale un nodo cruciale negli assetti energetici e della sicurezza di Unione Europea, Russia e Medio Oriente.  Ciò nonostante, l’intensificazione della presenza militare della Nato sul fronte orientale, quantunque una “deterrenza leggera” da post-guerra fredda, aggrava le tensioni.  La stabilità dell’area è piuttosto messa a repentaglio da percezioni e particolarismi che inibiscono la razionalizzazione delle linee di azione dell’Alleanza Atlantica e il compimento di una visione che trascenda gli interessi nazionali.  D’altra parte persino i meccanismi concepiti per mantenere la sicurezza e la fiducia tra est e ovest, come l’Organizzazione sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, non si sono dimostrati all’altezza di prevenire le crisi della Georgia, la Crimea e l’Ucraina.

Simmetricamente, la Nato deve sapersi ricollocare a sud e misurarsi con i movimenti armati e le incognite che muovono da quel fianco.  L’attuale coinvolgimento nel controllo marittimo dei traffici di profughi è sintomatico di una rinnovata centralità del Mediterraneo.  Al momento i focolai di ostilità e le fragilità democratiche in tutto il continente africano, gli squilibri di potere e i conflitti in Siria, Iraq e Libia, che innescano le spinte migratorie, e la persistenza dello Stato Islamico, esigono un ribilanciamento inderogabile nel contesto strategico dell’Alleanza.

Senza tralasciare che se la dottrina e i mezzi di impiego richiesti sul fronte orientale, in generale, rispondono a prassi consolidate – per quanto con l’eccezione dell’inadeguatezza della Nato a contrastare la guerra ibrida sostenuta dai filo-russi in Ucraina; contrariamente, la diffusa indeterminazione di dinamiche e attori sul fronte meridionale impongono la progettazione e l’assunzione di modalità e strumenti inediti e un rilievo maggiore prestato agli elementi di minore influenza politica della cooperazione e la interoperabilità militare.

All’indomani dell’accordo sul nucleare iraniano e il sollevamento delle relative sanzioni, si vede anche necessario il disegno di una nuova architettura in materia di sicurezza con le monarchie del Golfo, in primo luogo con Arabia Saudita e Oman, e uno schema di appoggio tecnico all’Iraq, nell’ambito di una rifondazione dell’Istanbul Cooperation Inititiative, e l’attivazione del programma bilaterale diretto allo sviluppo dei settori nazionali della sicurezza.  In questa direzione, cinque nuovi paesi del Medio Oriente avranno un rappresentante permanente nell’Alleanza Atlantica: Bahrein, Giordania, Israele, Kuwait e Qatar.

Il nuovo o la nuova presidente degli Stati Uniti d’America determinerà in gran parte il futuro della Nato, dato l’ingente peso politico e finanziario di Washington.  Il proposito di creare una “comunità atlantica” era già affondato cinquanta anni fa con il tentativo di dare attuazione, con il Rapporto dei Tre Saggi, Lange, Martino e Pearson, al preambolo e all’art. 2 del Trattato del 1949 sull’assistenza non militare.  Con Barack Obama è tramontata definitivamente la visione della Nato come una comunità globale per la libertà e la difesa dei valori comuni, collegata con il mito della sua fondazione di una “federazione spirituale dell’Occidente”.  Dall’enfasi sulle operazioni deployed out-of-area e le basi oltremare, gli Stati Uniti con il vertice di Newport del 2014 hanno infilato la exit strategy, accompagnata dalla richiesta di una potenziata responsabilità da parte degli stati europei, e dalla riscoperta del core task dell’art. 5 meno gravoso sia sul versante dei costi umani sia di quelli economici.

A giudicare dalle dichiarazioni rilasciate sinora, Hillary Clinton potrebbe proseguire questa stessa politica, tenendo non più di un piede in Europa e seguitando ad agitare lo spettro anti-storico dell’aggressione russa, così favorendo il ripiegamento della Nato sul principale compito istituzionale della sicurezza collettiva e del contenimento.  Posizione peraltro in linea con i paesi nordici che proprio nella Russia identificano un rischio per motivi di tipo geopolitico, e i membri dell’Europa baltica e centrale che attingono dalla retorica della guerra fredda, pur non sussistendo le incompatibilità ideologiche che furono alla sua origine, e spingono per un’Alleanza a trazione orientale.  Donald Trump appare fedele alla posizione unilateralista America First e ha liquidato la Nato come obsoleta.  Soprattutto non antagonizzerebbe con Putin, considerato un attore strategico e attivo nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica e, come condiviso da Obama, non sarebbe propenso a continuare ad assumerne la parte più consistente della spesa.

La sopravvivenza dell’Alleanza Atlantica non è certo messa in dubbio, tantomeno la sua efficacia.  Malgrado ciò la presenza di 29 individualità statuali con diverse, e talvolta divergenti, priorità strategiche non ne fa presagire un governo fluido di fronte all’urgenza e la complessità presupposte dalla pluralità dei pericoli esistenti.  Anche a fronte del fatto che, stabilito l’aumento di spesa del 3% rispetto all’anno precedente, ogni membro dovrà contribuire con il 2% del Pil.

La vocazione storica e culturale, e le circostanze economiche, dell’Italia avrebbero dovuto farne un attore chiave del riposizionamento.  Del resto il “Libro Bianco della Difesa e della Sicurezza” del 2015, nel delineare la dottrina nazionale, peraltro mai completata con lo strumento di attuazione, pone il Mediterraneo al centro degli interessi vitali del paese; posizione rafforzata dal rapporto dell’Advisory Panel redatto a marzo in preparazione del summit.  L’Italia però dalle primavere arabe, a dispetto dei continui richiami degli Stati Uniti ad assumere un ruolo proattivo, non si è distinta in ambito regionale per scelte politiche coraggiose o innovatrici di fronte a quell’intreccio multidimensionale che tiene in scacco la democrazia e lo sviluppo sulla sponda meridionale del Mediterraneo. E nemmeno ha saputo difendere i propri interessi rispetto alle sanzioni economiche da due anni prescritte alla Russia, la gestione comunitaria delle migrazioni, o la congiuntura libica.  Innanzitutto, non si scorgono sull’orizzonte nazionale ed europeo, al di là degli alti incarichi di governo e i roboanti titoli della burocrazia internazionale, figure con la preparazione adeguata per l’altezza del compito e la leadership necessaria per la gravità dei tempi.

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