IL MIO VOTO SENZA TAPPARSI IL NASO
Tutti a votare come al Teatro di Mangiafuoco, per chiuderla una buona volta col referendum ma non col bisogno di cambiare le regole di questo paese, perché comunque vada il giorno dopo ci darà da riprendere il filo delle riforme: per correggere quanto approvato, o per ricominciare quello che ancora una volta non si è riusciti a fare.
Io voto sì, e non senza se e senza ma, che ce ne sono tanti, ma senza bufale e senza errori, abbondanti in questa campagna da acchiappa citrulli.
Quattro bufale:
• Se passa il no, l’Italia non sprofonda. Le sue banche falliranno solo se dovranno fallire comunque; il prestigio on è legato all’esito del voto, ma ai suoi problemi strutturali di corruzione, burocrazia, illegalità, calo demografico e ripresa massiccia dell’emigrazione, livelli di evasione e tassazione, scarsa competitività, passaggio all’estero di marchi storici del paese senza che nessuno batta ciglio, eccetera eccetera. Più significativo di un no sovrano, è stata la mancata elezione per un mandato pieno al Consiglio di Sicurezza, il fatto che senza colpo ferire i grandi marchi automobilistici del paese hanno lasciato l’Italia, o che il sempre compassato presidente della Commissione Europea abbia riservato al presidente del consiglio un “me ne frego” mai prima d’ora indirizzato a un capo di governo. Altro che sì o no.
• Se passa il no, la prossima riforma non sarà per il “mai più”. Piuttosto, spetterà ad altri. Che potrà fare meglio, ma anche peggio, anche molto, molto peggio.
• Se passa il sì non finiamo in nessuna dittatura, se non quella delle geremiadi degli sconfitti. Sarà una scelta non delle banche d’affari ma del popolo sovrano, l’opposizione continuerà a essere determinante, e il governo avrà qualche procedura accelerata nell’iter legislativo di alcuni provvedimenti come accade già in mezza Europa.
• Infine, non si prenda la Costituzione del ’48, la “magnifica”, la “più bella” per oro colato. E’ una costituzione a cui possiamo volere solo bene e gratitudine. Ma è ricca di compromessi che col tempo diventano orrendi: un migliaio di parlamentari, due camere che esprimono entrambe la fiducia, con l’aggravante di essere elette da due corpi elettorali diversi, ciò che ha generato trasformismi continui; e, anche se non toccato dalla riforma, addirittura il Concordato e l’equiparazione tra Chiesa cattolica e Stato italiano.
Due errori.
• Non si cada nella tentazione di misurare questa riforma col metro della simpatia per il governo. Il voto, lo si sarà capito ma nessun li dice, è una sorta di congresso del PD per interposta persona, ne deciderà la classe dirigente, e una volta di più i regolamenti di conti interni si fanno pagare a tutto il paese (accadde la stessa cosa con la faida, tutta interna e abbigliata con false nobili intenzioni, della mortificazione del sindacato e dell’articolo 18). A noi liberi cittadini interessa soprattutto, anzi solo, la carta costituzionale, a quella si guardi, non alle irritanti feste o alle dichiarazioni del sì e del no che da sole, per come sono proclamate, fanno cadere le braccia e allontanano i nostro voto. Insomma si rinunci al meschino giochetto di fare lo sgambetto a qualcuno, sia al governo o all’opposizione come con ripicche da bambini.
• E ancora di più, non si giudichi la riforma rispetto a quello che ciascuno di noi avrebbe voluto al suo posto. Troppo facile. Per mesi preferivo un altro senato. Ma ora il tempo delle alternative è scaduto, quel dibattito è finito. La scelta non è più tra la costituzione attuale e un progetto perfetto, ma solo tra questa riforma, coi suoi limiti e i suoi pregi, e lo status quo. E a noi cittadini lo status quo, se guardiamo oltre le invettive pronunciate in questo Teatro di Mangiafuoco, non conviene. Per niente.
Solo se si è sgombrato il campo da queste bufale e da questi errori di fondo, si potrà capire cosa comporta questa riforma, e votarla senza alcun bisogno di tapparsi il naso. Anzi.
• Si abolisce il CNEL. E’ una piccola cosa, non è l’eliminazione degli “enti inutili” sbandierata da alcuni del sì. Farà risparmiarne poco o molto – ma non sarà mai questo il punto, perché non si cambia la costituzione per risparmiarne. Ma intanto è una soppressione positiva.
• Si aboliscono le province dalla Costituzione. Su questo e altro c’è poca chiarezza, come dice Prodi, perché potranno restare con legge ordinaria. Ma privarle della base giuridica costituzionale, poco o molto che sia, è comunque un passo in avanti rispetto a quanto abbiamo.
• Si migliorano gli strumenti di democrazia diretta. Avremo una soluzione ancora un po’ confusa per i referendum abrogativi, creandone di due tipi diversi a seconda del numero di forme. Avrei voluto l’abolizione del quorum per tutti, ma almeno per quelli che raccolgano 850.000 firme (compito tutt’altro che impossibile per chi è ben organizzato) il quorum si abbassa notevolmente. E’ già qualcosa.
• Si creano, vivaddio, i referendum propositivi e di indirizzo. Molto dipenderà dalle leggi di attuazione, che possono restringere o allargare modalità e le materie di competenza. Vedremo, ma in ogni caso rispetto al nulla dell’attuale costituitone, mi affretto a prendere questo poco o molto che sia.
• Si aumenta il numero delle firme per le leggi di iniziativa popolare – ostacolo tutt’altro che insormontabile – e finalmente si vincola il parlamento a discuterle e a votarle. Con l’attuale costituzione non ricordo una sola legge di iniziativa popolare tra le tante presentate, che sia mai stata votata dalla camere.
• Si mette un po’ d’ordine (un po’, non molto) nel canaio delle competenze concorrenti tra governo regioni. Si doveva fare di più, ma si capisce che c’era necessità di compromesso. Il governo recupera la competenza sul turismo che sarà finalmente promosso come sistema di paese e non col metro dei singoli campanili; sulle infrastrutture strategiche; sull’energia, che altro che regionale o nazionale, dovrebbe essere addirittura competenza europea, date le implicazioni in termini di concorrenza, politica estera, lotta ai cambi climatici). La clausola di supremazia non risolve tutto ma aiuta, alcuni conflitti continueranno, ma è un netto miglioramento rispetto all’infausta riforma del capitolo quinto che faceva l’occhiolino agli elettori leghisti. E non si invochi il federalismo tradito. Sono federalista, e per questo so che il federalismo non si fa con venti regioni in paese piccolo come l’Italia.
• Infine il tanto bastonato nuovo senato. E’ un pasticcio – con troppe diverse tipologie degli atti legislativi, rimpalli con la Camera mica tanto chiari, vergognosa immunità, senatori che hanno già un altro lavoro a tempo pieno, una ripartizione abbastanza cervellotica tra le varie regioni, criteri di rappresentanza proporzionale che in molti casi non si capisce come potrà essere garantita. E anche dell’altro.
• Ma accetto questo e altro, laddove venga finalmente corretta l’anomalia tutta italiana di un governo che ha bisogno della doppia fiducia, da due corpi elettorali diversi (madre di molti trasformismi), finendola con 350 senatori che devono rifare una seconda volta il lavoro già fatto dai deputati, e abolendo quest’altra bizzarria nostra di cittadini ventiquattrenni che possono essere carabinieri o ricercatori, possono amministrare sacramenti o pubblicare romanzi, non sono considerati maturi per votare i senatori. Nominati (in parte) domani, come sono nominati (in parte) oggi.
Questa riforma ha i suoi scarabocchi ma merita di passare. Sono stucchevoli le esaltazioni acritiche di alcuni sostenitori del sì come le demonizzazioni di altri del no. In troppi hanno rinunciato a ragionare, indossando la maglietta dei tifosi.
In ogni caso, l’esito del voto sarà la sconfitta del populismo. Se vincerà il no, sarà colpa di quella tracotanza che ha voluto impostare la riforma come un atto di seduzione elettorale, alla ricerca dell’effetto plebiscitario. E se vincerà il sì, chi si è opposto dovrà ricredersi per i propri toni apocalittici – tipici di certe culture politiche anche opposte.
O forse no: chiunque vinca ci sarà riuscito perché ha frastornato il paese con minacce di declino o di dittature.
Sarebbe la sconfitta di tutti – cambiare per paura, non cambiare per paura.
Ma siccome a questo paese voglio bene, guardo quello che mi viene proposto e me lo prendo, aiutandolo a fare quello che rispetto allo status quo è un passo in avanti. E vado a votare da Mangiafuoco con un sorriso.