21 Novembre 2024
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IL DOPPIO BINARIO DELLE RIFORME ITALIANE E DELL’IMPEGNO EUROPEO

Gli europeisti devono pretendere dall’Unione Europea, ma non devono spazientirsi in quella che è una lotta lunga e che vede il governo impegnato in un negoziato che al tavolo di Bruxelles deve essere sostenuto da tutte le forze europeiste e responsabili. Mai come in questo momento la politica italiana dovrebbe ragionare tenendo fermo l’interesse del paese ed evitare atteggiamenti da primi della classe. Nulla, in Europa, si conquista gratis. Questa è peraltro la conferma che solo l’Europa può fornire risorse importanti per far fronte alla crisi e può fornirle senza uscire dal perimetro delle democrazie occidentali: altrove, gli eventuali regali si sconterebbero con ben altre cessioni di sovranità. Per questo, gli appelli alla solidarietà, per quanto nobili, non possono sostituire l’impegno di ogni Stato a vigilare sulle sue responsabilità.
L’Italia si lamenta, a giusto titolo, di politiche fiscali di altri paesi, Olanda in testa, che costituiscono dumping della tassazione; politiche sbagliate nel quadro degli equilibri europei ma tuttavia legali, e frutto di concessioni generose da parte di stati che si possono permettere, avendo i conti in ordine, di attrarre capitali a condizioni di favore. Ma nel porre la questione dell’armonizzazione fiscale europea, l’Italia deve impegnarsi molto di più perché la sua evasione e il peso dell’economia sommersa, con dati senza pari nel resto d’Europa, non siano fattori di altrettante misure di dumping fiscale nel mercato interno e nell’eurozona, così come è percepito da altri paesi.
L’Italia pone il nodo della solidarietà europea, che non è tanto la richiesta di un aiuto, ma il riconoscimento di appartenere a una comunità dal destino unico e dai valori condivisi. Tuttavia, il Paese deve affrontare, in un momento di spaventoso aumento del debito, la questione di quella componente ingente dei patrimoni privati sottratta agli investimenti e quasi sterilizzata in rendite di posizione che fanno dell’Italia un paese con una forte diseguaglianza sociale e con una ricchezza che in alcuni settori è maggiore rispetto a quella di altri paesi ai quali si chiede aiuto.
L’Italia sta per ottenere fondi UE importanti, ma non ha ancora affrontato la riscrittura delle sue regole amministrative che finora hanno costituito un ostacolo al buon utilizzo delle risorse europee già disponibili. Nel suo piccolo, la vicenda del Meccanismo di Protezione Civile Europea, che l’Italia non ha voluto attivare per l’organizzazione di voli di rimpatrio di connazionali bloccati all’estero, rinunciando così a un finanziamento del 75% degli stessi, è un esempio allarmante di come la rinuncia agli aiuti europei abbia comportato un esborso di risorse da parte dei cittadini che si poteva evitare.
Mai come adesso dunque, l’Italia deve lavorare sul doppio binario delle riforme interne e dell’impegno europeo: le une sono complemento indispensabile all’altro, e viceversa. Lo si constata a ogni vertice europeo, dove la discussione sugli strumenti disponibili è legata a doppio filo a quella sulla loro condizionalità. E se l’Italia deve evitare condizioni vessatorie e contrarie ai principi di coesione europea, deve rafforzare la sua credibilità con l’adozione di riforme interne.

L’Europa al centro della Repubblica
A dover spronare l’agenda politica italiana è proprio la prospettiva europea, ormai discrimine tra le forze in campo. Non possiamo che restare sgomenti al cospetto del comportamento delle forze di centro-destra, che, come accaduto nel recente voto al Parlamento Europeo, ancora illudono il paese sulla possibilità di “fare da soli”, o sperano nell’aiuto cinese o russo o nelle stravaganti soluzioni alla Boris Johnson. Oggi più che mai, gli europeisti devono riprendere le parole di Giovanni Spadolini: “La verità è che è venuto il momento di abbandonare i discorsi sugli schieramenti e sulle cosiddette alterative, per venire ai problemi di sostanza e di fondo, per stabilire che cosa bisogna fare, come condursi per incidere profondamente nella società quale essa è, e non sulla società quale si crede o si finge di credere essa sia. E questo compito spetta soprattutto alle forze di sinistra. Se la sinistra vuole applicare alla società la sua carica riformatrice, deve sapere appunto, come tale società è fatta, qual è il suo meccanismo di sviluppo, e come su di essa si deve operare, per raggiungere il risultato riformatore a cui si mira.”
Non è un caso che il recente Rapporto del Gruppo Spinelli su come uscire dalla crisi Covid, plasmato da liberaldemocratici come Verhofstadt e Duff, non veda l’adesione di alcun esponente italiano del centro-destra.
I federalisti viceversa sanno che il progetto degli Stati Uniti d’Europa non sarà raggiunto in tempi brevi, ma anche che esso è oggi rafforzato dalla necessità di un’Europa coesa al cospetto della crisi: il tavolo dell’Europa è complesso.
Abbiamo già deplorato le numerose carenze dell’Unione nell’attivazione del Meccanismo di Protezione Civile Europea, nel mancato coordinamento delle modalità della fase di chiusura o ormai di quella di riapertura delle attività economiche e sociali, e non possiamo che aderire all’iniziativa di Più Europa per dotare l’Unione Europea di maggiori poteri in materia di sanità pubblica. Ma non per questo il progetto europeo è in frantumi, tutt’altro: in un processo decisionale che si annuncia lungo, l’Unione Europea sta comunque prendendo provvedimenti senza precedenti, sospendendo il Patto di Stabilità (un dogma assoluto fino a ieri), stabilizzando i mercati attraverso il ruolo della BCE, nonostante un primo sbandamento, e mobilitando risorse ancora non quantificabili, ma che vanno da mille a duemila miliardi.
Si dovrà valutare il numero di strumenti e le loro modalità di attivazione. Temiamo che i primi saranno troppi e le seconde per definizione insufficienti. Ma queste risorse possono costituire il nocciolo dal quale sviluppare ulteriori meccanismi proto-federali di governo economico, rafforzando quella fiducia reciproca che un giorno potrebbe approdare alla mutualizzazione dei debiti nazionali, auspicata dal Gruppo Spinelli.
Soprattutto, lo sforzo finanziario messo in atto dall’Unione Europea non conosce paragoni con quanto accade nel resto del mondo. I paesi asiatici, pur duramente colpiti, fanno fronte alla crisi contando solo sulle proprie risorse, in ordine sparso e rafforzando alcune note contrapposizioni; lo stesso vale per i paesi arabi, alla prese con il crollo del prezzo del petrolio; dall’attuale Amministrazione americana l’Europa si aspetta molto, ma essa deve ancora trovare un equilibrio rassicurante sia nelle scelte di politica commerciale, che in una gestione presidenziale della crisi pandemica che lascia sconcertati e in un difficile sistema di relazioni tra gli Stati. Anche il Regno Unito, il cui governo ha dato segni di iniziale e grave sbandamento nel come affrontare l’emergenza Covid, dovrà far da solo. Quanto al sistema delle Nazioni Unite, pare inadeguato a offrire il sostegno che alcuni paesi vi vanno cercando. Nessuno è dunque perfetto, e nella sua imperfezione ricca di egoismi persistenti l’Europa sta comunque segnando un esempio di sforzo, ancorché contraddittorio, non solo ai sovranisti di casa nostra, ma anche al resto del mondo. In questo panorama, i repubblicani trovano la conferma di antiche convinzioni: il rapporto con l’Europa è l’architrave della Repubblica, e lo è quindi anche nei rapporti politici.