Referendum Costituzionale O Trappola Istituzionale?
Il referendum istituzionale si avvicina a grandi passi, mentre la riforma della Costituzione appare sempre più distante dall’attenzione degli italiani.
Il dato che emerge infatti, ormai è puramente politico: i nemici di Renzi puntano ad intotolarsi, in caso di sconfitta, le dimissioni del premier e la caduta del governo, gli amici invece a consolidare una leadership che aprirebbe probabilmente i giochi (e nuove poltrone!) per un reiterato quinquennio di governo.
Per noi Liberi Ciattadini il significato rimane invece meramente istituzionale: cosa cambierà grazie alle nuove norme della Costituzione. Sarà un’Italia più nuova e più moderna, in linea con i Paesi più avanzati dove la governabilità diventi strumento di democrazia effetttiva e non ardito gioco di potere? Sarà un’Italia ancora più confusa di quella di oggi, dove comunque i contrappesi istituzionali sono ridotti al manule Cencelli per evitare che qualcuno possa di fatto diventare “padrone del Paese”?
La sensazione prima è che la politica rientri nel primo gruppo con il suo solito tifo da stadio, senza più contenuto, ma cori da una parte o dall’altra della curva: il PD – e le altre forze politiche filogovernative- sono ovviamente a favore del Sì, l’opposizione è contro con uno strano minestrone di sinistra radicale e neo lepenisti in salsa Lega Nord, conditi con l’olio di San Lorenzo del Movimento 5 Stelle.
Liberi Cittadini non farà parte di questa sbobba: vogliamo provare ad iscriverci al secondo gruppo e cercare di guardare alle norme per il loro contenuto e per cercare di capire semplicemente se fanno più bene che male ai cittadini italiani.
Lo faremo esaminando astrattamente la norma, ricordando tanto le ragioni del “SI” quanto quelle del “NO” per poi esprimere un giudizio meramente di contenuto.
Due saranno i nostri principi guida: il “meglio è nemico del bene” e che tutto è migliorabile.
Vorrei partire da alcune considerazioni del costituzionalista Michele Ainis, individuando quattro volti della riforma da valutare. A partire da quello del potere e dell’efficienza:
“Primo:il potere. La riforma lo concentra, lo riunifica. Una sola Camera politica (l’altra è una suocera: elargisce consigli non richiesti). Un governo più stabile e più forte, senza la fossa dei leoni del Senato, che ha divorato Prodi e masticato tutti i suoi epigoni, nessuno escluso. E uno Stato solitario al centro della scena. Via le Province, pace all’anima loro. Via le Regioni, cui la riforma toglie di bocca il pasto servito nel 2001, sequestrandone funzioni e competenze: dal federalismo al solipsismo. Perciò il decisionista Carl Schmitt voterebbe questo testo, l’autonomista Carlo Cattaneo lo disapproverebbe.Voi da che parte state?”
“Secondo: l’efficienza. Una maggior concentrazione del potere dovrebbe assicurarla, però non è detto, dipende dalle complicazioni della semplificazione. L’iter legis, per esempio: qui danno le carte soltanto i deputati, tuttavia il Senato può emendare, la Camera a sua volta può respingere a maggioranza semplice, ma talora a maggioranza assoluta. Mentre rimangono pur sempre 22 categorie di leggi bicamerali. Insomma, dalla teoria alla prassi il principio efficientista rischia di rivelarsi inefficiente. E voi, siete teorici o pragmatici?”
C’è poi il nodo delle garanzie, un aspetto più volte contestato dalle opposizioni:
“Nessuno dei 47 articoli nuovi di zecca sega le attribuzioni dei garanti: la magistratura, la Consulta, il cati, Letta. Ma addio anche al potere di sciogliere anzitempo il Parlamento: di fatto, sarà il leader politico a decretare vita e morte della legislatura. E addio alla garanzia del bicameralismo paritario, che a suo tempo bloccò varie leggi ad personam cucinate da Berlusconi. In compenso la riforma pone un argine ai decreti del governo, promette lo statuto delle opposizioni, aggiunge il ricorso preventivo alla Consulta sulle leggi elettorali. Ma il compenso compensa lo scompenso?”
Sottolinea ancora Ainis:
“Quali strumenti di decisione e di controllo restano in tasca ai cittadini? E quanto sarà facile tirarli fuori dalla tasca? Intanto aumenta la fatica di raccogliere le firme: da 50 a 150 mila per l’iniziativa legislativa popolare; da 500 a 800 mila per il referendum abrogativo, in cambio dell’abbassamento del quorum. Però i regolamenti parlamentari dovranno garantire tempi certi per i progetti popolari, però s’annunziano altre due tipologie di referendum (propositivo e d’indirizzo). Peccato che la volta scorsa ci sia toccato pazientare 22 anni (la legge sui referendum è del 1970). Dunque è questione d’ottimismo, di fiducia.”