5 Dicembre 2024
LA RIVISTA: GLI ARTICOLI

TRUMP, QUALE TYCOON?

La Casa Bianca licenzia il ministro della giustizia e la sostituisce con la Boente (procuratore del distretto orientale Virginia, in carica fino a che il nuovo ministro Jeff Sessions non sarà confermato dal Senato, ndr):ci dobbiamo aspettare un’amministrazione commissionata ad oltranza o il nuovo potus saprà trovare nuovi equilibri?
Sally Yates era Vice Ministro della Giustizia nel governo presieduto da Barack Obama e – fino a poche ore fa – era “facente funzione pro tempore” come Ministro su invito di Trump, in attesa della conferma da parte del Senato della nomina del “vero” nuovo ministro della Giustizia, Jeff Sessions. La sua nomina era politica, non tecnica. E in ogni caso destinata ad uscire di scena fra pochi giorni. E’ naturale e fisiologico, oltre che legittimo, che la sua presa di posizione conduca ad una accelerazione della sua uscita di scena. Avrebbe potuto dimettersi lei, ha preferito invece una presa di posizione più eclatante. Più che quella di “nuovi equilibri” la prospettiva è quella di un completamento della transizione al nuovo governo. Ma il clima resterà di forte contrasto tra governo e opposizione.

E’ caos negli aeroporti, fioccano già i primi ricorsi destinati a diventare migliaia; universale è la condanna verso la stupidità ed inutilità del bando. Quale credibilità potrà spendere la comunicazione del tycoon per poterlo vantare, al netto della coerenza?
L’Ordine Esecutivo ha una durata di soli tre mesi. Sul piano concreto conta più ciò che verrà dopo. In questo senso trovo opportuno valutarlo soprattutto come atto di propaganda, che come atto di governo. Non a caso tutti i resoconti ne attribuiscono la paternità a Steve Bannon che di Trump è il braccio destro proprio sul piano della propaganda e della comunicazione (come Karl Rove lo era per George W. Bush e David Axelrod per Obama). Anche per questo il provvedimento è stato elaborato con poca competenza sotto il profilo giuridico (vedasi la marcia indietro rispetto ai possessori della “green card”). Ora, se lo valutiamo per ciò che è – cioè un atto di natura prevalentemente propagandistica – dobbiamo vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi non ciò che troveremmo più giusto o più bello. Di fatto, la condanna contro il cosiddetto bando non è in realtà “universale”. E’ vasta, ed è venuta un po’ da ogni dove, ma non è unanime. Sia negli Stati Uniti che in Europa si registrano in realtà anche ondate di consensi a favore di questa misura. Non bisogna sottovalutare questa realtà, se si desidera comprendere il senso di questa presa di posizione. In questi giorni Trump ha preso una serie di posizioni tutte univocamente volte a compiacere chi l’ha votato, e a far scendere in piazza chi gli è ostile. Se questa mossa sia scaltra o scellerata lo potremo dire fra qualche mese.

I colossi dell’imprenditoria (Starbucks Google Airbnb …) e la Sylicon Valley offrono iniziative di contrasto all’editto di Donald; ritieni che siano iniziative isolate o c’è un corporate interno che rischia di diventare il peggiore nemico del presidente imprenditore?
Come ho detto, il “bando” presidenziale ha vita breve (tre mesi) e natura eminentemente propagandistica. Le “iniziative di contrasto” poste in essere da alcune grandi imprese vanno a loro volta lette in quest’ottica. L’iniziativa di Trump ha mosso molti dissensi e le persone scese in piazza sono tutte potenziali clienti per Google, per Amazon, per Starbucks. Non dobbiamo pensare che ai grandi imprenditori convenga sempre evitare certe prese di posizione. Nel 2012 il CEO della catena di fast food “Chick-fil-A” si espresse contro i matrimoni omosessuali. Il movimento LGBT invitò a boicottare i suoi ristoranti, ma molta gente lo ritenne eccessivo e cominciò ad andare a mangiare lì per solidarietà. Alla fine gli incassi di quella catena aumentarono del 12%, 4 miliardi e mezzo di dollari. Oggi, a parti politiche invertite, c’è chi sacrosantamente si fa i suoi conti.

In dieci giorni di governo Donald Trump è riuscito a fare quello che dai tempi dell’agonia di Nixon non si vedeva: la mobilitazione dei cittadini può riuscire a delegittimare un presidente più del partito oppositore?
La mobilitazione dei cittadini non è certo una sorpresa. Prendiamo in considerazione la possibilità che Trump e Bannon la avessero preventivata e considerata non controproducente. In fondo si tratta pur sempre di una mobilitazione totalmente reattiva: la gente scende in piazza su ciò che Trump e Bannon ritengono opportuno che ciò avvenga. La “agenda setting” è totalmente in mano alla Casa Bianca. Reazioni di dissenso troppo scomposte potrebbero persino giovare al presidente: è un rischio da non sottovalutare.

Da uno sondaggio di ieri sembrerebbe che oltre il 51% degli americani non approva i primi act di Trump: non rischia di perdere subito fiato la suggestione dell’ “America first”?
Il dissenso che i sondaggi stanno registrando, per ora, non è affatto enorme. L’entità della porzione di opinione pubblica che appare disposta a schierarsi con Trump non risulta granchè inferiore a quella della porzione di opinione pubblica che sta esprimendo disapprovazione. Consideriamo che già prima della drammatizzazione degli ultimi giorni il tasso di impopolarità di Trump era comunque vertiginosamente elevato per un presidente appena entrato in carica. Obama sfondò il tetto del 50% di impopolarità dopo 579 giorni, George W. Bush dopo 1205. Trump partiva già così il primo giorno. In un certo senso, aveva davvero poco da perdere: non c’era nessuna “luna di miele” da compromettere.

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